Buon compleanno Barrel!

Festeggia il suo 30° anniversario il celebre “Cono”, realizzato da Philippe Stark per Duravit. Con il suo design semplice e senza tempo, il Barrel di Starck si è distinto dalle tendenze effimere del bagno, ha stabilito nuovi standard ed è diventato uno dei mobili più venduti di Duravit.
Quest’anno l’elegante cono celebra il grande traguardo con un upgrade: un’ampia scelta di colori per lavabo, mobili e maniglie, porta nel presente la versione c-bonded dell’icona e offre opzioni di design individuali e moderne.

Il cono di Starck è minimalista e naturale perché si rifà all’origine dell’acqua nelle nostre case: l’acqua sgorga verticalmente dai tubi di un pozzo e viene raccolta in un semplice secchio. Visione e onestà garantiscono la straordinaria longevità del cono di Starck. Trent’anni fa era un prodotto appropriato e contemporaneo e lo è ancora oggi, perché non si basa sulle tendenze ma sull’umanità”, afferma lo stesso Philippe Starck.
Abbiamo incontrato il Designer per scoprire di più sul segreto che si cela dietro il grande successo di questo prodotto.

Quest’anno il prodotto compie 30 anni. Ero curiosa di sapere qual è il segreto di questa sua longevità e soprattutto cosa lo rende ancora così attuale.

Alla fine, è semplice da dire, meno semplice da fare. L’idea è nata dal desiderio di realizzare un prodotto nuovo, che potesse aiutare le persone ad avere una vita migliore. Ciò significa che deve basarsi su un vero aiuto onesto, per dare qualcosa di buono alla nostra comunità, non solo per mettere soldi in tasca, questo è il primo parametro. E il secondo è quello di progettare il prodotto all’osso, cioè al minimo di tutto.
E per un prodotto del genere, ma non è molto complicato, serve qualcosa di concavo da riempire con l’acqua, qualcosa di piatto per metterci lo spazzolino da denti, qualcosa per appoggiare i prodotti di bellezza e, siccome non sei piatto ma hai una forma, lo fai conico, perché così non ti fai male. Questo è tutto.
E dopo lo si fa con un’azienda seria, molto onesta, che è orgogliosa di produrre un prodotto di lunga durata e che diventa un’icona senza tempo. È molto, molto semplice. Questo significa che alla fine c’è sempre l’intuizione, ma dopo è soprattutto un lavoro sull’onestà, perché viviamo in una società in cui è molto facile essere disonesti. E siamo in una società in cui è molto facile mentire a sé stessi. Ecco perché, alla fine, il lavoro più grande è quello di lottare per non mentire a sé stessi. Per dire: “Beh, è buono”, e tu sai che non è buono.
Bisogna renderlo semplice, perché magari la forma è senza tempo, ma forse la maniglia tra 10 anni, tra 15 anni, sarà troppo disegnata, fuori tendenza. E tutto il prodotto finirà nella spazzatura solo per un pezzo di metallo come quello? È stupido.

La sua collaborazione con il marchio Duravit è lunga e fruttuosa. Come riesce a rinnovarsi sempre e a continuare a creare prodotti belli e innovativi che spesso, come in questo caso, diventano icone del design?

Perché è la mia natura, perché sono affetto da iper-creatività, e il mio stato naturale è solo quello di avere idee. Ciò significa che non lavoro mai per avere idee, ma solo per controllarle, per gestire il processo di onestà delle idee. Non ho nient’altro da fare dopo.
A volte quando i giornalisti mi chiedono qual è il mio lavoro, dico che il mio mestiere è avere idee, è il mio DNA, ma dopo il mio vero lavoro è pulire. Pulire quello che faccio, la mia produzione e con l’obiettivo di migliorare la vita della mia comunità per dare loro meno ma meglio. Non dico che ci riesco, ma è il mio obiettivo.
La maggior parte delle volte il più geniale è il più semplice, alla fine. C’è una cosa bellissima che in matematica si chiama radice quadrata. Ricorda a scuola? Dividi, dividi… Io lavoro così. Creo qualcosa e divido. A un certo punto trovo il primo numero che non può essere diviso. Quando l’ho raggiunto, dico che è fatta, va bene, ho fatto il mio lavoro, questa equazione è perfetta, ora è per gli umani.

Per maggiori informazioni visitate il sito www.duravit.it.

Foto di copertina di Alberto Zanetti