É stato presentato ieri alla Triennale di Milano il libro “Kenzo Tange Gli anni della rivoluzione formale 1940/1970” di Giusi Ciotoli e Marco Falsetti, edito da FrancoAngeli Milano. Architetto importante del movimento modernista e fondatore del “metabolismo”, Tange fu rilevante non solo in veste di primo architetto giapponese a far breccia nel panorama occidentale ma sopratutto per come la sua visione di tradizione ed evoluzione dell’architettura abbia creato dei segni tangibili tutt’oggi dibattuti e celebrati. Il libro indaga un arco di tempo che parte dal periodo bellico della Seconda Guerra Mondiale fino ad arrivare agli anni 70, analizzando nello specifico alcune opere più significative del percorso evolutivo architettonico di Tange. Una di queste, Il Centro per la Pace di Hiroshima, apre un capitolo dedicato al tema della ricostruzione in Giappone, una realtà dove il mondo occidentale si stava inserendo in maniera preponderante e sul significato dell’architettura che doveva ripartire dalle macerie.
Se la tradizione è così importante per Tange, in quali elementi è possibile rintracciarla nelle sue opere? È forse invisibile? Il libro presenta diverse riflessioni sull’interazione fra il passato e le origini di Tange e sul suo lavoro contestualizzato in un Giappone che si stava sempre più aprendo all’occidente. All’intervento ha partecipato inoltre Marco Biraghi, docente Politecnico di Milano, che spiega come la tradizione per Tange è un tema ricorrente ma che non incarna un passato immutabile ma è più come una radice viva, si evolve, cambia. Tema della tradizione che torna in Tange anche nel contesto della sua partecipazione alla transitoria costruzione del Santuario di Ise che, come spiega la Professoressa dell’Università di Pavia Olimpia Niglio durante la presentazione, si tratta di un luogo di culto dal grande valore sacrale nella cultura giapponese in quanto santuario consacrato alla dea principale Amaterasu Omikami.
Il contrasto è un altro punto di discussione che vede Tange maestro dell’unione fra elementi in antitesi. Il cemento, ad esempio, che si distacca dall’utilizzo fatto da Le Corbusier, in Tange sembra prendere forma sotto forma di moduli, in maniera quasi discreta e che talvolta vista da lontano assomiglia a una trama in legno ma che allo stesso tempo spoglia l’architettura di ogni orpello stilistico e concentra l’attenzione sul significato dell’opera. Materiali agli opposti, tradizione e nuovi orizzonti, sono tutti spunti di riflessione che segnano il percorso e la produzione di Tange con alle spalle un Giappone che si muove velocemente e che rappresentano l’evoluzione dell’architettura di Tange racchiusa in un volume che si prospetta avere un seguito.