Maria Porro

Alla vigilia del Salone del Mobile abbiamo intervistato la Presidente Maria Porro per farci raccontare la nuova edizione, la visione complessiva, le prospettive legate al rafforzamento della politica di espansione verso gli Stati Uniti, i nuovi mercati e il recente accordo sulla politica di sostenibilità diffusa. A ciò si aggiunge uno sguardo su Milano che è il centro di questi cambiamenti, anche in relazione con il mondo del Fuori Salone.

Luca Molinari
Negli ultimi tre anni, dopo la pandemia, il Salone sta vivendo una metamorfosi molto interessante. Alcuni punti di questo cambiamento sono da rintracciare nella maggiore relazione di dialogo con le culture del progetto, nella volontà di trasformare i luoghi di esposizione in luoghi di comunità dove confrontarsi, parlare e “stare”. A questo si aggiunge la passione per una politica ambientale marcata da una sensibilità crescente in termini di sostenibilità. Ci vuoi raccontare di questa metamorfosi e le ragioni la stanno accompagnando?

Maria Porro
Innanzitutto, arriviamo dalla pandemia – un termine che qualcuno non vuole più nominare – e quindi da un momento che ha forzato alcuni processi che però erano già cominciati e che forse ha sottolineato o messo in evidenza alcuni punti di criticità e di forza dei così detti “grandi eventi”. Da parte nostra era imprescindibile cercare di capire quale sarebbe potuto essere il modello evolutivo di un grande evento come quello del Salone del Mobile. Nello studio di questo modello di crescita il digitale svolge un ruolo importantissimo nel momento in cui è completamente integrato, a servizio e supporto del mondo reale e fisico.

Lavoriamo pensando che l’incontro tra pubblico e la dimensione reale-fisica-spaziale del Salone sia concretizzata nel migliore dei modi. Lo facciamo creando all’interno di una fiera che espone sia prodotto sia brand, dei luoghi di comunità, proprio per dare ancora più valore al fatto di vivere in un’unità di luogo, tempo e spazio. A questo si associa nello stesso tempo l’utilizzo del digitale per comunicare il Salone non solo nel suo periodo di apertura ma anche per raccontare ciò che avviene al Salone 365 giorni all’anno.

Quindi, con questo spirito, abbiamo creato delle occasioni fisiche sparse nel mondo, soprattutto concentrate nel Nord America, per raccontare e promuovere altrove il Salone del Mobile, la settimana del Salone e ciò che avviene a Milano con il supporto delle aziende che lo creano. Questo ci permette di raggiungere un pubblico di visitatori e di espositori di qualità. Il Salone è il contenitore delle proposte di design e arredamento al loro massimo grado di qualità in termini di progetto, di processo produttivo e di offerta. Questo contenitore è sempre più internazionale perché ormai riscontriamo una percentuale del 70-30% tra aziende espositrici italiane ed estere. Se si guarda poi al visitatore, la proporzione è ribaltata; registriamo circa il 70% circa di visitatori stranieri e la restante percentuale di italiani. Il Salone è davvero un luogo di incontro per la comunità internazionale del design. Come facciamo a mantenere viva questa comunità che giunge a Milano? Lo possiamo fare andando a raccontare il Salone all’estero e quindi ingaggiando e coinvolgendo anche i giovani architetti, i nuovi designer, i player importanti anche del mondo del contract, invitandoli a venire a Milano, raccontandogli cosa e come sarà il Salone in futuro. Questo modello evolutivo mette al centro il layout specifico del Salone, cioè la sua impostazione/natura architettonica e urbana, e allo stesso tempo l’impegno rispetto al tema della sostenibilità. Non possiamo negare che i grandi eventi (per il modo in cui sono concepiti) possono consumare molte risorse.

Il Salone reagisce a questo attivamente attraverso l’ottenimento di certificazioni: global compact prima, e inserendoci in un framework internazionale ci siamo certificati ISO 2012: la certificazione europea per gli eventi sostenibili che rende possibile la presenza di un auditor esterno che ci misura, controlla e che verifica che quello che noi facciamo sia corretto e che si ponga in una traiettoria di continuo miglioramento. Per questi motivi, stendiamo delle linee guida che riguardano gli allestimenti pur sapendo che la sostenibilità non si limita a un problema risolvibile solamente nella scelta di un materiale piuttosto che un altro. Per esempio, garantendo la stessa proporzione di spazi allo stesso espositore, diamo la possibilità allo stesso espositore di riutilizzare il proprio stand per più anni. Questa politica garantisce la qualità del lavoro di chi fa il lavoro di montaggio e smontaggio degli stand. Quindi il tutto ricade dentro un’accezione di lavoro che si può definire olistico: per noi questo è un passaggio imprescindibile e fondamentale.

L.M.
Andare al Salone del Mobile (come accade per le aperture delle biennali) significa aggregarsi ad una comunità che ogni anno si rinnova e si fa più grande e che è cresciuta enormemente. C’è anche tutto il mondo del lusso che ha in qualche modo eletto il Salone del Mobile come un momento in cui rappresentars.
Spesso capita di sentire dire che al Salone c’è troppo e che non ci si riesca a concentrarsi su nulla. E questo è anche causato da quel dualismo su cui so che voi state lavorando, tra il Fuori Salone e il Salone. Come vi state muovendo in questo senso?

M.P.
È una bellissima domanda. Ciò che avviene dentro il confine di Rho è molto chiaro, e soprattutto ha una governance molto chiara con delle regole molto chiare. La bellezza di ciò che avviene fuori è il motivo per cui nasce il Fuori Salone: libertà, l’autogenerazione di eventi e occasioni che escono dalle regole canonizzate dalla Fiera e che offrivano e offrono la possibilità agli stessi brand che sono in Fiera di parlare un altro linguaggio, raggiungendo un altro tipo di audience, prendendosi delle libertà. Come hai detto giustamente tu, questa è una grandissima occasione per brand di altri settori di presentarsi al mondo e venire alla luce in un contesto a loro felice proprio perché la qualità dell’audience è talmente alta da costituire un’opportunità unica per tutti.

Questo crea non solo opportunità, valore aggiunto e contaminazioni, ma anche dei rischi intrinsechi che a nostro avviso devono essere quanto meno presi in considerazione e governati. Il lavoro che noi stiamo facendo è proprio quello di cercare di partire dall’analisi di che cosa significhi “questa settimana”. Lo stiamo capendo insieme al Politecnico, il Comune di Milano e con tutti gli stakeholder, gli operatori coinvolti. Ci stanno aiutando a misurare gli eventi, perché solo attraverso l’analisi e la misura potranno essere capiti per poi trarne indirizzi e strategie di progetto futuro. L’intenzione è quella di lavorare ad un “osservatorio permanente”. Il focus, quindi, non è ottenere una misurazione per il solo anno 2024 (come se fosse un’istantanea fotografica), ma è di lavorare in progress.

L.M.
Ho molto apprezzato il fatto che già dall’anno scorso avevate messo in opera con Beppe Finessi, con Formafantasma e con altri l’idea di definire degli spazi che fisicamente fossero riconoscibili come contenitori di cultura del progetto; luoghi dove stare come una piazza, un bookshop; luoghi accomunati dall’avere una propria identità fisica molto chiara. Questo indica chiaramente una direzione che state rafforzando ulteriormente quest’anno.

M.P.
Questi luoghi continuano ad esserci. Quella piazza meravigliosa in relazione con la libreria c’è anche quest’anno e l’idea è, lavorando dentro il confine della Fiera questa volta, che questi spazi che l’anno scorso erano concentrati su Euroluce, quest’anno siano presenti in tutti i padiglioni. Per esempio, avremo la grande arena disegnata da Formafantasma, che in un’ottica di sostenibilità userà arredi riciclati, ricondizionati, riassestati. La libreria è la stessa e siamo molto felici che sia la stessa. Nei due padiglioni di EuroCucina abbiamo predisposto una grande piazza che è fatta in realtà da due piazze simmetriche, dove sarà presentata una grande installazione: un luogo in cui ogni giorno uno studio di food design insieme a un magazine indipendente metteranno in scena la loro idea di food design in collaborazione con un artista invitato.

Questa idea è molto divertente, perché ogni giorno sarà differente dall’altro e gli stessi studi di food design che abbiamo selezionato (che sono un pò l’avanguardia della cucina) potranno essere di grande ispirazione anche per chi è nel ramo del design di cucine. Per esempio, in questo spazio gli chef avranno la possibilità di cambiare il set luci a seconda della pietanza preparata. Oltre a questo, il coinvolgimento degli artisti permetterà di avere un punto di vista differente sul tema del cibo. Così si costruisce quella dimensione di avanguardia che ritengo sia l’unico modo per aggiungere valore a quello che già i brand raccontano.

Poi ci sarà un grande spazio dedicato a David Lynch che curerà due piccolissime stanze, “due stanze del pensiero” (così le ha chiamate) realizzate con il contributo degli scenografi del Piccolo Teatro. Nei padiglioni del bagno c’è uno spazio curato da Salotto NY (Accurat, Design Group Italia, Emiliano Ponzi): una installazione immersiva e dal grande impatto emotivo capace di raccontare in modo efficace i numeri legati all’industria del bagno, al tema del water saving, al design del prodotto. Ci si chiederà, per esempio, come un rubinetto possa essere progettato per ridurre il consumo d’acqua, o come il design di un rubinetto possa cambiare il comportamento di noi che tutti i giorni apriamo quel dispositivo per lavarci, etc. E poi uno sguardo al processo produttivo. Sappiamo tutti che la cromatura, che è la tipica finitura di tutto ciò che sta nell’ambiente bagno, è un processo produttivo che ha un grandissimo impatto ambientale, oltre che essere soggetto a un grandissimo consumo di risorse idriche. Quindi quali sono le nuove frontiere in questo senso? Dentro questo mondo acquatico nel quale il visitatore avrà la possibilità di camminare e rilassarsi, tutti questi temi verranno indicati e raccontati.

L.M.
È interessante vedere come voi in qualche modo abbiate deciso di rinunciare alla logica dei “metri quadri” per regalare al pubblico spazi allestiti, più liberi e da “abitare”. Sono spazi stimolanti per le aziende che vengono coinvolte e per il pubblico che li frequenta: diventano spazi di gioco. Giocare significa conoscere, entrare in discussione, uscire dalla zona di comfort, entrare in qualcosa che spiazza, e che dà una ragione per tornare. Rispetto al pubblico, cosa vuol dire lavorare sul “pubblico di qualità”? Perché immagino che non sia un discorso di soli big spender, ma che ammetta un vasto pubblico di designer, anche di studenti.

M.P.
Gli studenti per me sono molto importanti, sono il futuro. Il giorno di apertura dedicato agli studenti è il venerdì, che è un giorno ancora trade: quindi lo studente non viene in Fiera il sabato o la domenica quando c’è l’apertura al privato. Lo studente di architettura e design può visitare la fiera nel giorno trade, nel mondo con cui avrà rapporti in futuro quando sarà un professionista, e leggendolo sotto questa ottica, questa dinamica penso sia molto interessante. Quest’anno abbiamo fatto un tour internazionale che ha toccato praticamente tutti i continenti. Siamo tornati in Cina a Shangai, a Berlino, a Copenaghen; siamo stati a Londra, a Parigi; abbiamo girato gran parte degli Stati Uniti (l’anno scorso eravamo a Los Angeles) da Miami al Texas (quest’ultimo molto interessante oggi per il mondo del design) a New York e Chicago; abbiamo toccato il Canada. Sono stata in India e ora andrò in Corea e poi in Giappone e in Spagna. Insomma, abbiamo girato tutto il mondo facendo delle conferenze stampa con gli ambasciatori del design da Grcic, Nichetto a De Lucchi, parlando non solo alla stampa ma lavorando anche con le associazioni di categoria degli interior designer e degli architetti. Per esempio, negli Stati Uniti abbiamo coltivato contatti con gli architetti iscritti all’AIA, in modo da coinvolgerli. Poi ovviamente ci sono i buyer che sono un corpo di pubblico che si è radicato nel tempo in maniera importante. La sfida di oggi è lavorare sugli architetti, sui contractor, sui grandi player del mondo immobiliare. Sono queste le persone che abbiamo coinvolto in questo tour internazionale. Abbiamo fortemente voluto parlare a loro nei loro luoghi.

L.M.
Cosa è emerso da questo importante lavoro sul fronte internazionale? Avete avuto delle sorprese, provocazioni spiazzanti, o dei feedback interessanti? Perché la conferenza stampa non è solamente un momento per dire delle cose ma per ricevere delle cose.

M.P.
È vero, le domande spesso ti aiutano anche a capire e a verificare quello che stai facendo. Spesso nelle conferenze stampa, come quella di febbraio, non si ha modo di raccontare tutti i contenuti ma si inizia a raccontare un’impostazione generale. Solo successivamente, a cose compiute, lo staff tenta di capire le reazioni: i giornalisti che avevamo di fronte sono stati a Euroluce, hanno visto Euroluce, hanno apprezzato Euroluce. Ma capiscono quello che stiamo facendo? La cosa molto interessante che è emersa è che Euroluce è stato apprezzato moltissimo e quindi anche le innovazioni che stiamo portando avanti sono state apprezzate. Questo ci dà la forza di dire che la direzione intrapresa è corretta sia per il lavoro che stiamo facendo con il Politecnico sul fronte della misura degli eventi, sia sull’essenzialità di dare vita a continui tavoli di dialogo con gli organizzatori del Fuori salone.

L.M.
Torniamo al tema delle piazze e dei luoghi-spazi di incontro. Il Satellite quest’anno compie gli anni: sono 25. È stata un’intuizione pazzesca portare i giovanissimi, le scuole, da subito nel mondo del Salone. Cosa vuol dire festeggiare il Satellite e come lo farete?

M.P.
Devo dire che quando andavo a trovare mio padre, in stand, alla Porro, da ragazzina, mio papà mi prendeva e mi diceva “andiamo al Satellite”. Per me è sempre stata una cosa bellissima, perché lì c’erano dei ragazzi giovani – e ci sono dei ragazzi giovani – insieme alle loro scuole. Io ho un ricordo davvero molto forte di quei momenti in cui da 16-17enne scoprivo questo mondo incredibile di ragazzi talentuosi e giovani. Dall’altro lato, mio padre imprenditore mi diceva “questo lo facciamo lavorare”. È questa la forza del Satellite, cioè uno spazio dedicato ai giovani designer dentro l’evento trade più importante del settore; è un vero un palcoscenico operativo, un palcoscenico di lavoro. Arrivarci vuol dire aver superato la selezione di una giuria insieme a Marva Griffin che, essendo la fondatrice del Satellite, ha un’esperienza, un occhio, una capacità di vedere incredibile. Quest’anno come dicevi tu, celebriamo i 25 anni del Satellite, e lo facciamo in Triennale, nel luogo in cui tutto l’anno si parla di design. Penso che questa sia una cosa stupenda, anzi bellissima. In più quest’anno abbiamo deciso di ridurre il prezzo del biglietto: il Satellite è gratuito e in più il prezzo del biglietto del Salone in Fiera per gli studenti è ridotto a 15 euro. Pensiamo sia un fatto molto importante.

 

L.M.

Emerge anche un senso di speranza in ciò che tu racconti. Un progettista ha bisogno di sentirsi accolto e se si è accolto in quel luogo, il Satellite, è veramente già come se avesse fatto un passaggio fondamentale per la sua attività: ti stai presentando come giovane professionista.

M.P.
Ne parliamo sempre con Marva di questo aspetto. Effettivamente, sempre di più i giovani arrivano con il proprio press kit, con dei piccoli cataloghi che spesso sono dei capolavori di grafica. Anche il modo in cui lo stand viene allestito è interessante. Il fatto che gli stand siano tutti uguali come proporzioni setta una sorta di grande democrazia facendo si che ognuno indipendentemente dalla provenienza geografica o anche dalle possibilità economiche (perché sicuramente ci rendiamo conto che sia uno sforzo da questo punto di vista non indifferente) abbia la possibilità di “brillare”. Moltissimi dei 14 mila ragazzi che sono passati dal Satellite (ed è un numero che fa impressione) oggi sono nomi affermati del design, imprenditori, fondatori di aziende. Anche al Satellite abbiamo pensato ad una piazza: un luogo d’incontro. L’anno scorso abbiamo avuto Gaetano Pesce che ha fatto una lectio bellissima. Quest’anno ci sarà un altro “grande saggio” del design. Ecco lì, al Satellite, sì che c’è design.

L.M.
Stiamo parlando del pubblico, del Salone e non abbiamo ancora parlato di design, che è la ragione per cui tutto questo avviene. È interessante notare come il design, da una parte, abbia ormai introiettato i temi della sostenibilità a tutti i livelli anche perché sta cambiando il suo pubblico. Il tema della sostenibilità è prima di tutto nel pensiero di chi compra. Dal tuo punto di vista, dalla tua storia familiare e personale, ma anche di chi governa tutto questo, come percepisci queste tensioni, le urgenze di un mondo che deve cambiare?

M.P.
È un tema molto vasto ed è un tema che cambia a seconda dei luoghi geografici e dei modelli produttivi. Se penso al sistema arredo italiano (adesso uso volutamente la parola arredo e non la parola design) è un settore che è fortemente manifatturiero, a differenza di altri sistemi in altri luoghi del mondo (ma anche europei): qui le aziende funzionano come poli produttivi. Questa grande trasformazione passa per noi soprattutto attraverso il prodotto perché avendo la produzione in Italia e in Europa tutto ciò che riguarda la parte di responsabilità sociale delle aziende tenderei a darla per assodata. È uscita recentemente una ricerca che cita come in Italia vi sia il gap salariale tra i più alti d’Europa il che contraddice quello che ha appena detto. Il cambiamento passa attraverso il sistema produttivo e siamo sulla buona strada. Per esempio, abbiamo fatto questa bella survey con Federlegno che fa vedere come la produzione italiana di arredo e tutta la filiera del legno sia tra le più sostenibili in Europa. Siamo siamo molto avanti per quanto riguarda per esempio l’approvvigionamento di energie sostenibili e anche per quanto riguarda il riciclo della materia prima del legno. È chiaro anche che, se analizziamo gli imbottiti, lì invece vi sia un tema di materiale. E un’altra cosa interessante è vedere come il settore arredo, i brand, le aziende, siano in media più piccoli dei fornitori di materie prime. Quindi il potere di cambiamento è ribaltato rispetto al mondo della moda, dove invece il “grande” brand può dire al fornitore “o fai così o non lavori più con me”. Quindi è molto importante fare sistema; è molto importante che le richieste di un cambiamento o di materie prime certificate, o di materie prime nuove, innovative, provengano dall’intero settore. È lo stesso settore a dire “ne abbiamo bisogno”.

Poi c’è tutto il tema delle certificazioni che non sono armonizzate a livello europeo. Figuriamoci fuori dai confini europei: se vado in California mi chiedono un certo tipo di emissioni per i prodotti di formaldeide; in Germania c’è un’altra regola, certi paesi del sud-est asiatico hanno delle normative tutte loro. La Cina ha delle regole stringenti all’ingresso per cui anche lì ormai la sostenibilità è diventata un modo per bloccare le merci all’ingresso: una forma di protezionismo. Però questo forse lo possiamo girare a nostro vantaggio. Non siamo forse il Paese con la migliore produzione di arredo e di design, quello che esprime la più alta qualità e durabilità del prodotto? Di contro c’è anche il modello di una circolarità della vita del prodotto molto spinta: non mi interessa quanto dura ma mi interessa che io possa usarlo per poi metterlo in un “tritatutto” e che ciò che esce dal tritatutto lo possa trasformare. Questa è una sfida incredibile che ci mette di fronte a investimenti in termini di produzione, alla necessità di fare sistema perché le innovazioni in termini di materie prime diventino accessibili e abbiano il giusto prezzo. I grandi designer hanno sempre avuta l’intelligenza a progettare le cose perché fossero disassemblabili, sostituibili e durevoli. Dobbiamo recuperare questa grande qualità che è anche la cifra e la scuola, non solo italiana, dei grandi esempi del design internazionali.

L.M.
E il Salone cosa può fare in questo senso?

M.P.
Il Salone può offrire la migliore visibilità a chi compie un percorso coerente e può cercare di stimolare nei luoghi pubblici il dibattito anche intorno a queste tematiche, dando delle informazioni a partire dai numeri. È il senso di quello che facciamo con l’allestimento curato da Salotto NY. La grande installazione aiuta l’aspetto ludico, ma fa pensare e dà presenza alla sostanza degli studi che stiamo portando avanti. Io la penso come una grande opportunità, che però va affrontata molto seriamente. Il design qui è veramente il settore che può dire la sua con forza tale da influenzare altri settori.

L.M.
Anche simbolicamente?

M.P.
Si

Testo di Luca Molinari


Didascalie e crediti fotografici (dall’alto in basso)

– Copertina, ritratto di Maria Porro – foto di Guido Stazzoni
– Ritratto di Maria Porro – foto di Guido Stazzoni
– EuroCucina | Schizzo nuovo layout | Per gentile concessione di Lombardini22
– Biennali | Schizzo nuovo layout | Per gentile concessione di Lombardini22
– Rendering del progetto ” All You Have Ever Wanted to Know About Food Design in Six Performances” | EuroCucina | Per gentile concessione di Lombardini22
– Rendering del progetto “Under the Surface” | Salone Internazionale del Bagno | Per gentile concessione di Salotto NY
– Lost and Roll | Progetto fotografico per Il Salone del Mobile. Milano 2023 | Ph. Gianluca Vassallo

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